“IL VINO” FRA STORIA E CURIOSITÀ
Nei testi antichi uno degli argomenti maggiormente trattati riguarda l’agricoltura e in particolare la viticultura. Questa attività, trattata con riguardo, descritta minuziosamente in molteplici testi, ci permette di riconoscere alcuni vitigni già presenti allora, altri invece, si sono persi nel decorso dei tempi cambiando nome e caratteristiche per cui, oggi, non è possibile una classificazione precisa: si presume che la “Vitis Nomentana” sia l’attuale Traminer e che la “Graecula” l’uva di Corinto, pare certo invece, che la “Vitis Apiana” corrisponda all’attuale Muscat o Moscadella.
Dai testi di Columella, Catone o Varrone pare che i vitigni conosciuti allora, fossero almeno una cinquantina e che essenziale fosse la cura nella scelta del terreno: tipologia, porosità, umidità, colore, ecc.., le terre della Campania, nere, formate da tufo decomposto erano da preferirsi. Per il Grecino era importante l’esposizione, infatti sosteneva che la vigna va piantata guardando a Sud per le zone fredde e rivolta a Est per quelle temperate. I romani curavano molto le potature e gli innesti.
Gli antichi, notando che i tralci si allungavano distanziandosi sempre di più dalle radici, sostenevano che queste regole naturali dovessero essere rispettate quindi fissavano i tralci ad alberi ad alto fusto (arbusta) e questo permetteva all’uva di maturare in modo uniforme per cui anche gli alberi venivano curati e pare che alcuni raggiungessero l’altezza di 20 mt.; sia Plinio che Catone descrivevano la buona qualità del vino ottenuto con questo metodo.
Anche la vendemmia aveva le sue regole, vietato raccogliere l’uva sotto il sole cocente o bagnata di rugiada; si credeva che la prima uva raccolta desse una quantità maggiore di mosto, quella raccolta per seconda desse il vino migliore e quella raccolta per ultima, il vino più dolce.
L’uva raccolta veniva portata nel “torcularium”, locale per la pressatura, fatta prima coi piedi poi con delle presse.
Quello dell’uva, della preparazione del vino, dei locali e dei recipienti, dei tipi di vino e di tanto altro ancora, è un argomento assai vasto, si pensi che questa bevanda è stata decantata da tantissimi illustri personaggi da Plinio a Ovidio, da Galeno, Orazio, Ippocrate e chi più ne ha più ne metta!
Un altro tema che richiederebbe molto spazio è quello riguardante i metodi adottati nell’antichità per diluire i vini. Pare che in Grecia, una legge emanata da Anfizione, proibisse di bere vini puri, questo era permesso solo per talune feste e che per l’occasione la prima coppa fosse dedicata a Giove.
Omero scriveva che il vino Maroneo, bevuto da Ulisse e da Telemaco, si diluiva con 20 parti di acqua e Ippocrate, che il vino Taso con 25 parti di acqua essendo, questo, un vino forte mentre per i vini deboli le proporzioni erano inferiori.
L’acqua per diluire il vino doveva essere fresca e pura come l’acqua di fonte e a Roma la preferita era l’Acqua Marcia, fatta arrivare da Anco Marcio.
I vini diluiti si bevevano preferibilmente caldi, Seneca descrive nei minimi particolari come venisse riscaldata l’acqua nelle varie temperature, sovrapponendo tre recipienti di rame contenenti acqua, così si otteneva acqua bollente, calda e tiepida.
E’ risaputo che i Greci avevano acquisito una grande cultura del vino e che divennero famosi per la loro raffinatezza, per le loro feste a base di vino e per come lo diluivano abbondantemente; inoltre permettevano alle donne di bere vino ma vietavano loro di partecipare alle feste contrariamente ai Romani che permettevano alle donne di partecipare alle feste ma proibivano loro di bere vino.
…..E qui termino riportando un consiglio di Florentino il quale: raccomanda a chi voglia comperare del vino di assaggiarlo quando spira la tramontana, perché allora avrà la miglior possibilità di valutarne bene la qualità…”
(Curiosità tratte da testi antichi e da “Storia dei vini antichi” di A. Henderson)